Il tenente toscano Giuseppe Bandi, ufficiale del Quartier Generale dei Mille di Garibaldi, giornalista e memorialista garibaldino, così scrisse nel suo magnifico libro “I Mille: da Genova a Capua” quando nei pressi di Calatafimi si trovò di fronte una collina irta di truppe borboniche:
“Mi posi a sedere anch’io sulle erbose zolle e vidi le colonne nemiche escir fuori dalla città e avviarsi verso noi per la collina dove già le avea precedute l’avanguardia. A poco a poco mi accorsi che la meta del loro cammino dovea essere il poggio che nascondeva sulla nostra sinistra la strada, e dietro il quale stava schierata la cavalleria. Da quel poggio volevano asserragliarci la strada, e magari girarci alle spalle, occupando, mentre combattevamo nella valle, il villaggio di Vita. I siciliani ci dissero chiamarsi quel poggio Pianto Romano, in memoria d’una gran batosta colà toccata, dai romani, dai soldati della città di Segesta, le cui rovine eran poco lontane da noi, tanto che si potea distinguere a occhio nudo l’antico tempio famoso, che sorge quasi intiero in mezzo alle vigne da cui si spreme il prelibatissimo segestano.
– Il nome di quel colle è un po’ brutto, – dissi – ma dove piansero i romani, tiranni del mondo, è giusto che ridiamo noi, nemici dei tiranni. –“
In realtà, il colle, formato da sette terrazze, aveva preso il nome dalla famiglia Romano-Colonna, proprietaria dei terreni un tempo coltivati a vigneti. Quell’interpretazione erronea del Bandi fu, però, simbolo degli ideali di libertà dei Mille che iniziarono la loro strabiliante impresa proprio sul quel colle dall’epiteto romantico, che ebbe come frutto insperato l’unità d’Italia.
Proprio sul campo di battaglia di Pianto Romano, cosparso di caduti e feriti, attraversato da pallottole, urla e pianti, s’incontrano e si confrontano i due immaginari protagonisti di questo romanzo: il garibaldino ligure Giò Battista Raimondi e il soldato napolitano Francesco Ferri.
Il romanzo può essere richiesto a Pianto Romano. Calatafimi: la battaglia che fece l’Italia. di Domenico Anfora | Cartaceo
Non si può disconoscere che il romanzo storico ” PIANTO ROMANO – Calatafimi : la battaglia che fece l’Italia “ di Domenico Anfora costituisce un necessario, ritrovato e rinnovato omaggio a quegli uomini che decisero di combattere per l’unità , l’indipendenza italiana , la libertà , pur trattandosi di un romanzo storico appassionante che contiene , tuttavia, un ben delineato contesto storico e si avvale di un lavoro di ricerca storica rigorosamente documentato.
Nei momenti rilevanti della battaglia di Calatafimi, che , come scrive l’autore , “ pur non essendo stato uno scontro di grosse proporzioni, ebbe un valore strategico , morale psicologico e politico decisivo” , si evidenzia tutto il fervore patriottico di quell’evento che Domenico Anfora comunica nei vari aspetti storici , letterari , romanzati e con una ben dosato afflato poetico , soprattutto quando descrive il luogo, Pianto Romano, ove si contrapposero nella battaglia 1300 garibaldini contro 2000 soldati del Regno delle Due Sicilie.
In tale ampio affresco di uno dei momenti storici determinanti per le sorti dell’Italia Unita , il tutto è delineato con ricchezza di particolari in cui i protagonisti storici sono gli artefici del Risorgimento , ma le vicende sono raccontate in maniera romanzata tramite l’incontro – scontro di due figure di fantasia emblematiche : il garibaldino ligure Giobatta Raimondi e il soldato borbonico Francesco Ferri.
Nel romanzo sono presenti tutti i protagonisti di quell’evento storico , dallo stesso Garibaldi a Bixio, da Rosolino Pilo a Francesco Crispi , da Giovanni Corrao ad Ippolito Nievo e al memorialista Bandi con un elenco dettagliato delle otto compagnie garibaldine che parteciparono all’impresa. L’autore analizza come tali uomini attingessero la loro forza in battaglia da quei principi di patria libera in cui risaltavano i grandi ideali di libertà, uguaglianza in una Repubblica il cui sogno doveva essere rinviato per i delicati eventi storici successivi . Il sogno mazziniano di Repubblica dovette piegarsi alla ragion di stato e tale rinuncia fu il prezzo che uomini come Garibaldi e Mazzini , ardenti repubblicani , dovettero pagare perché l’Italia diventasse una Nazione.
Quindi l’autore delinea il quadro completo delle condizioni dell’Italia di quel tempo , rilevando che quegli uomini avevano realizzato un primo traguardo da completare successivamente con la separazione di un’ assurda commistione Trono e Altare.
Sono comunque i personaggi di fantasia che consentono all’autore di descrivere poeticamente due realtà sociali e culturali , quella del maestro savonese Giobatta Raimondi e quella del contadino di Casale di Carinola Francesco Ferri e che devono incontrarsi e ritrovarsi insieme finalmente tramite l’Unità e l’indipendenza affinché affinché l’Italia non sia più descritta , come fece Metternich “ una mera espressione geografica”.
Il garibaldino Giobatta diventa un cittadino ligure dopo aver sposato una giovane di tale regione , e la bravura dell’autore è quella di far emergere il contesto sociale del paese di provenienza del maestro Raimondi , ma soprattutto la “ Casale di Carinola dell’ottocento , paese natìo di colui che sarà , pur controvoglia , il soldato borbonico Francesco Ferri.
Tutto il pimo capitolo è , quindi , un omaggio poetico dell’autore, che vive a Catania, alla realtà storico-sociale di Casale di Carinola dell’ottocento , paese di nascita di suo padre.
L’autore descrive egregiamente le tradizioni di Casale , attingendo alle tradizioni familiari come anche ad un attento lavoro di ricerca storica locale , rivelando che il cognome Ferri “ l’ha preso dai suoi antenati di Casale di Carinola , dove , di fronte , alla chiesa Dei SS Janni e Paolo , esiste ancora la grande casa , col portone , il blasone e la lapide risalente al XVIII secolo.”
Abbiamo modo di conoscere , tra le tante tradizioni del paese natìo del soldato Francesco Ferri, le modalità di arruolamento dei giovani sudditi del Regno delle Due Sicilie tramite “ estrazione a sorte” . Tuttavia sono destinati ad andare sempre i poveri perché i ricchi pagano bene per essere “ sostituiti da un disgraziato”. Eppure Francesco Ferri non è stato estratto a sorte , ma decide di sostituire generosamente il fratello , come consentiva la legge, purché avesse le stesse qualità fisiche.
Nel contempo il testo evidenzia chiaramente un sentito amore per i principi mazziniani , ” di quel profeta della politica” con il suo sogno repubblicano rappresentato dal personaggio del garibaldino genovese, un sogno che ebbe il suo compimento nel 1946.
Il romanzo storico di Domenico Anfora fa emergere come il tenente toscano Giuseppe Bandi , giornalista e memorialista garibaldino , in riferimento alla località di Pianto Romano , il colle in cima al quale avvenne l’ultimo cruento scontro della battaglia di Calatafimi ,avesse erroneamente attribuito il nome di Pianto Romano ad ” una gran batosta colà toccata dai romani” , mentre in realtà il colle prendeva il nome dai proprietari dei terreni , la famiglia Romano- Colonna.
Ed è lì che , dopo tante vicissitudini , si incontrano e scontrano il garibaldino ligure e il soldato dell’esercito borbonico in uno scontro cruento tra due italiani che l’autore riesce a farci rivivere tramite una storia avvincente , appassionata e coinvolgente , non priva di accenti poetici anche nella descrizione del colle Pianto Romano , la cui bellezza è comunicata tramite gli occhi incantati del soldato borbonico Francesco : “ Nell’aria c’è profumo di erba bagnata , di zagara e di finocchietto selvatico . Francesco entra nel suo mondo di sogni , guardando la valle del mitico Crimiso che si stende ai piedi del colle , florida e verde di prati e di colture , gli agrumeti intorno al sentiero e i vigneti giù a valle , vicino al maestoso tempio dorico di Segesta , quasi integro con il suo colonnato”.
L’epilogo del romanzo è sorprendente , aperto e si conclude con una rigorosa analisi storica della battaglia di Calatafimi , corredata da ben 7 allegati che contengono dettagliatamente le perdite di entrambi gli schieramenti , la composizione della Brigata Cacciatori della Alpi ovvero i Mille , la dislocazione dei Reparti Napoletani il 15 maggio 1860, la Scala gerarchica del Regio Esercito Italiano e del Real Esercito Borbonico, l’armamento dei Battaglioni Cacciatori, la cronistoria completa dei reparti del Real Esercito Borbonico e l’organizzazione territoriale del Regno delle Due Sicilie .
Quindi un testo che non è solo un romanzo storico ma un volume in cui il maresciallo dr. Domenico Anfora ci dona il suo appassionato lavoro di due anni di ricerche.
Angelo Martino
redazione del Portale di Pignataro Maggiore (CE)