Nel pomeriggio del 9 luglio furono bombardate violentemente Caltagirone, Grammichele e Palazzolo Acreide, interrompendo le comunicazioni telefoniche tra il comando della divisione “Napoli” ed il comando di C.d’A..

Il giornalista e autore teatrale palazzolese Pippo Fava (assassinato dalla mafia nel 1984), all’epoca diciassettenne, fu testimone del terribile bombardamento della sua città e così lo descrisse nel suo romanzo La ragazza di luglio:

“Venne un meriggio abbagliante e pieno di vento che gonfiava la vallata con gli odori delle campagne ormai bruciate e del mare lontanissimo. Dai sentieri delle campagne i vecchi contadini cominciarono a tornare verso il paese, con le cavalcature cariche di paglia. … Una lunga fila di vecchi vestiti di nero stava seduta e immobile all’ombra del grande palazzo nobiliare. Alcuni bambini giocavano correndo all’angolo del corso e tre ragazze cominciarono a salire la grande scalinata … In quell’istante accadde qualcosa. Tutta l’aria cominciò a tremare impercettibilmente, …quel tremore dilagò di colpo come se la montagna si stesse scuotendo dalle fondamenta, tremavano la grande cattedrale di pietra, le case, il palazzo dei nobili e improvvisamente i trenta bombardieri americani apparvero a bassa quota contro sole. … tutto sparì in un unico immenso lampo.

Nessuno seppe mai come morirono quelle tre ragazze che salivano le scale della cattedrale, disintegrate dall’esplosione o sepolte dai macigni, oppure quella fila di vecchi contadini vestiti di nero, … e tutti gli altri ragazzi che giocavano nella sala del biliardo, e quei bambini che giocavano all’angolo del corso, e centinaia di altri esseri umani, bambini che giocavano nei vicoli del paese, vecchi contadini e donne che tornavano a cavallo dei muli dalle campagne.

I trenta quadrimotori, divisi in due formazioni da quindici, su un fronte di due chilometri, passarono la prima a quattrocento metri di quota, da ovest ad est sganciando bombe da mezza tonnellata per una profondità di tre chilometri; la seconda ondata a trenta secondi di distanza da nord a sud, a duecento metri di quota, sganciando bombe da cento e duecento chili.

Erano le 18,15 del 9 luglio. Obiettivo del comando angloamericano era distruggere il paese definito centro di arroccamento stradale e quindi sbarrare il passo alle colonne motorizzate dalle montagne degli Iblei verso il mare.

Morirono 1848 persone, quasi tutti vecchi, donne, ragazzi e bambini, cinque soldati e un mulo della compagnia cannoni.

Per tutto il tramonto una immensa colonna di fumo e di polvere gravò sulla cima della montagna e su tutta la vallata, oscurandola, come fosse notte fonda. E nel centro di quella notte soffocante, in un odore terribile di polvere e di sangue, si sentirono grida di dolore e di pazzia, di esseri umani che scavarono con le mani in mezzo alle macerie per ritrovare i feriti ed i morti”.

I soldati della “Napoli” e gli sfortunati abitanti di Palazzolo avevano visto avvicinarsi la formazione di bombardieri pesanti nemici che sembrava puntare sull’aeroporto di Gerbini. Però, quando gli apparecchi giunsero sulla perpendicolare della città, si videro nettamente distaccarsi da essi una moltitudine di puntini luminosi: erano le bombe che in pochi attimi avvolsero la città in un inferno di scoppi e di nubi. Il gen. Rosario Fiumara, comandante della fanteria divisionale, uscì dal suo comando, l’edificio del ginnasio, rimasto miracolosamente indenne in mezzo a varie case distrutte dalle esplosioni. Seguito dai suoi ufficiali, il generale vide una città completamente devastata e, tra le rovine, la gente impazzita che urlava, imprecava e chiedeva aiuto. Mentre il colonnello Ronco impiegava i suoi uomini nel duro lavoro di sgombero delle macerie dalle rotabili che attraversavano l’abitato, nello spegnimento degli incendi, nel soccorso ai numerosi feriti, nel disseppellimento dei morti, il gen. Fiumara inviò due motociclisti a richiedere soccorsi: uno al comando di zona, l’altro al prefetto di Siracusa.

Questo pesante bombardamento aereo aveva come obiettivo il 75° fanteria e le strade che servivano al contrattacco. Dalla relazione del comandante del 75° conosciamo i danni e le perdite subite in quel triste giorno: molti edifici della città e i baraccamenti adiacenti erano distrutti o gravemente danneggiati; quasi tutti gli accantonamenti della truppa (fortunosamente in gran parte in libera uscita) erano colpiti, compresa la sede del comando di reggimento; le strade interne dell’abitato e le rotabili di accesso erano quasi tutte interrotte o ostruite dalle macerie; erano stati distrutti 6 autocarri L39 della cp cannoni reggimentale, 4 della cp cannoni divisionale, 3 del 2° btg, l’autoambulanza e vari altri mezzi erano danneggiati; il centralino telefonico era stato colpito in pieno, disintegrando anche il sottufficiale ed i sei militari operatori; tutti i collegamenti, sia coi comandi superiori sia con gli altri nuclei tattici, erano interrotti; molto altro materiale era stato distrutto o danneggiato.

Alle 8 del mattino dell’indomani Palazzolo subì un secondo terribile bombardamento da parte di 36 B-25 americani. Le vittime furono minori rispetto al primo lancio, poiché la popolazione civile si era rifugiata in campagna.

Le vittime civili ufficiali furono 114, ma in paese c’erano anche molti profughi non registrati provenienti dalle città bombardate. Secondo varie stime, le perdite vanno dalle 1000 alle 1800.

 

Domenico AnforaPubblicità